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LA DIVISIONE CUNEENSE

 

La storia

 

La Campagna d'Etiopia

 

Il Fronte Occidentale

 

Il Fronte Greco  Albanese

 

La Campagna di Russia

 

Composizione Cuneense

Decorazioni individuali

 

 

I REPARTI

 

4° Corpo d'Armata Alpino

 

A.R.M.I.R.

 

1° Rgt. Alpini

 

2° Rgt. Alpini

 

4° Rgt. Artiglieria Alpina

 

4° Btg. Misto Genio

 

 

 

 

 

 

LA CAMPAGNA DI RUSSIA

La campagna di Russia fu per gli alpini,  il momento più tragico della loro storia. A migliaia caddero in quella terra lontana tra il gelo e il turbinio della neve per combattere una guerra che non capivano e tantomeno volevano come ci spiega Nuto Revelli nel suo capolavoro "Gli Alpini del Don": ..."ignoravano tutto del fascismo. Nei tempi facili non appartenevano alla "gioventù del littorio": vivevano liberi, lontani dai grandi fatti nazionali. Non avevano nemmeno la camicia nera; a malapena conoscevano poche frasi fatte, i miracoli di Mussolini e basta". Così scrive anche Ernesto Ragionieri nella "Storia d'Italia Einaudi": "…dalle raccolte di lettere dei soldati italiani caduti e dispersi, il tratto che più colpisce, al di là dalle significative ma isolate espressioni di ribellismo, sia esso indistinto o consapevole, è il generale e uniforme disorientamento, l'assoluta e completa ignoranza sui motivi di quella guerra…" Forse proprio per questi motivi  il senso del dovere dimostrato sino all'estremo sacrificio assume un significato ancor più moralmente elevato. Il mantenimento delle posizioni sino all'ultimo che hanno in molti casi trasformato questo senso del dovere in eroismo sia militare che umano, permettendo ad altri di riuscire a mettere il salvo la propria vita e finalmente ritornare a "baita", hanno sancito, mai ve ne fosse stato bisogno, l'assoluto valore morale che queste truppe hanno insito sin dalla loro fondazione. La "leggenda degli alpini" non è frutto di fantasie o di invenzioni di tipo campanilistico, ma frutto di comportamenti, modi di essere, senso dell'onore, senso del servizio verso gli altri che ancora oggi li contraddistinguono, siano essi in servizio che congedati. Fu così, che il sacrificio della Cuneense assieme a quello della Julia, che rese possibile la ritirata dell'ARMIR, divenne il suggello di tale leggenda.

 

Dopo l'inizio della "Unternehmen Barbarossa" (Operazione Barbarossa), ovvero l'invasione della Russia da parte della Germania di Hitler, il fronte orientale, aperto con l'inizio di tale operazione, divenne il più grande e importante teatro bellico dell'intera seconda guerra mondiale e vi si svolsero alcune tra le più grandi e sanguinose battaglie della storia. Nei quattro anni che seguirono l'apertura delle ostilità tra Germania ed Unione Sovietica, decine di milioni di militari e civili persero la vita o patirono enormi sofferenze, sia a causa degli aspri ed incessanti scontri che delle condizioni di vita miserevoli in cui vennero a trovarsi.

Mussolini, dal canto suo, volle contribuire alla campagna con l'invio del Corpo di Spedizione in Russia,  trasformato l'anno dopo nell'Armata Italiana in Russia (ARMIR).

 

La prima tradotta diretta in Russia con gli Alpini della Cuneense, partì da Mondovì il 17 luglio 1942. Tanti bravi ragazzi della nostra Italia nati tra il 1910 e il 1921 partirono in una guerra che per molti fu senza ritorno.

 

Già dal 20 dicembre 1942 i sovietici pianificavano la loro terza offensiva. L'obiettivo era di circondare e distruggere le forze ungheresi e le restanti italiane e tedesche sul fronte del Don, e liberare le principali linee ferroviarie, Liski-Valujki e Liski-Kantemirovka, al fine di avanzare verso Char'kov e il bacino del Donec.

L'operazione Ostrogozhsk-Rossosch’prevedeva due attacchi principali e quattro secondari. l primi dovevano colpire le forze della 2a armata ungherese a nord, per poi procedere a sud verso Alekseevka. Da sud, colpendo a sud·ovest di Kantemirovka, i sovietici pensavano di convergere a nord e nord-ovest verso Alekseevka, in modo da realizzare un accerchiamento a tenaglia dietro le linee degli alpini e degli ungheresi. Dei quattro attacchi secondari, due andavano attuati entro la formazione a tenaglia, e gli altri due al di fuori di questa.

Il 13 e 14 gennaio i russi assalirono la 2a armala ungherese a nord del corpo alpino, penetrando in profondità dietro le linee. Il 14 gennaio i russi attaccarono e distrussero le linee tenute dai reparti della 24a divisione corazzala tedesca intorno a Mitrofanovka. l carri dell'Armata Rossa si addentrarono rapidamente attraverso le linee, e la sera stessa raggiunsero il comando della 24a, uccidendo il generale Wendel.

Il 15 gennaio numerosi carri armati sovietici continuarono a bersagliare le indebolite posizioni ungheresi a nord e i reparti superstiti della 24a a sud e sud-ovest del corpo alpino. Decimarono la 27a divisione corazzala tedesca e anche la 387a divisione di fanteria subì pesanti perdite. I russi riuscirono ad aprire un'ampia breccia nel settore tenuto dai tedeschi e si spinsero a nord, verso Rossosch’, sede del quartier generale del corpo degli alpini. Lì, gli uomini del «Monte Cervino» furono impegnati in una battaglia disperata contro le unità corazzate sovietiche. Tutto il personale militare disponibile della zona, compresi i soldati senza esperienza di combattimento, vi prese parte. Una ventina di carri armati russi si aggirava per le strade della cittadina, demolendo depositi, magazzini, e qualsiasi mezzo venisse loro a tiro. Usando ogni anna a disposizione - mine, bottiglie incendiarie e bombe a mano - gli alpini del «Monte Cervino» e il personale ausiliario riuscirono a mettere fuori uso cinque carri armati.

Sempre il 15 gennaio il quartier generale dell'ARMIR chiese l'autorizzazione al gruppo d'armate B tedesco di ritirare il corpo alpino insieme alla 2a armata ungherese, che stava già ripiegando, Hitler negò il ritiro delle unità alpine, ma permise ad alcune unità del XXIV corpo corazzato di ripiegare a nord del fiume Kalitva.

Il 16 gennaio, mentre  con le forze sovietiche dietro di loro e su entrambi i fianchi, il tenente colonnello Bellani della Cuneense, diede i seguenti ordini, “Domani salvo contrordini si abbandonerà la linea, ripiegando su Annovka. Tutto nel massimo silenzio. Il nemico non deve assolutamente accorgersi di quello che avviene."

Il capitano Gino Beraudi, aiutante del maggiore Guaraldi del 2° reggimento alpini, fu scioccato nel sentire le parole del colonnello, mentre stava al comando del proprio reggimento: “ Ritirarsi! Lasciare una linea ... e scegliere la steppa gelida, di fronte a truppe ebbre di vittoria e ricche di carri armati... diretti dove?”. Sapeva che gli alpini non avevano una seconda linea di resistenza. Sapeva anche che a separare il Don dall'ltalia c'erano oltre quattromila chilometri. Questi pensieri passarono nella sua mente solo una frazione di secondo. Si rese conto che non poteva nemmeno iniziare a confrontarsi con possibilità sconosciute; tutto quello che poteva fare era riferire al maggiore e svolgere il suo dovere immediato.

Alle 16,30 la Cuneense,. cominciò la ritirata. Gli zaini erano carichi di munizioni, bombe a mano e alcuni oggetti personali. Gli alpini formarono due colonne e si misero in marcia. Rimanevano fermi a lungo quando incrociavano i reparti della 24a divisione corazzata tedesca, che occupavano l'intera strada con i loro numerosi veicoli e slitte. Reparti della Julia. provenienti da sud percorrevano Quella stessa strada, con la fanteria disorganizzata e alcuni reparti rumeni, insieme a civili russi. Slitte abbandonale, veicoli senza benzina, e ogni sorta di equipaggiamenti fuori uso ingombravano la strada.

Gli alpini della .Cuneense, sopratutto quelli del 2* reggimento, erano costretti a fermarsi per ore nella neve, sferzati dal vento, senza alcuna possibilità di riparo. Ogni compagnia disponeva di una slitta-ambulanza e ben presto queste cominciarono a traboccare di soldati con principi di congelamento. I muli con carichi pesanti iniziarono a stancarsi dopo soste troppo lunghe. I loro addetti scaricavano la soma, per poi ricaricarla Quando la colonna riprendeva a marciare, affrontando cosi uno sforzo supplementare. Nel caso del battaglione Saluzzo ci vollero diciotto ore per coprire ventitré chilometri.

Emilio Faldella, nella sua "Storia delle truppe alpine" riporta un fatto inspiegabile, che ebbe molle ripercussioni. Il 16 gennaio, il giorno precedente la ritirata, un ufficiale per ogni compagnia, insieme a un paio di guide alpine per plotone, venne inviato a ovest di Annovka, per esplorare le postazioni su cui costruire la nuova linea difensiva. Diversi reparti della "Cuneense», in particolare il 2° reggimento, cominciarono la ritirata credendo di dover riposizionare il fronte nelle retrovie o formare una nuova linea di difesa tra Staraja Kalitva e Rossosch’. A causa di questo malinteso e credendo che la marcia sarebbe stata breve, al momento di preparare i muli o dare agli alpini vettovaglie da portare con sé, sia gli uomini sia gli animali si sovraccaricarono. Le attrezzature necessarie sulla nuova linea difensiva, come utensili, coperte e stufe, ebbero la precedenza, mentre le razioni di cibo e le munizioni furono considerate meno importanti, vista la missione. Come risultato, gli uomini e i muli esaurirono rapidamente le forze.

Quando il 2° reggimento alpini raggiunge Annovka nella tarda mattina del 18 gennaio, le truppe sI dovettero fermare, non solo per riposare ma anche per controllare e ridistribuire il carico dei muli, abbandonando gran parte dell'equipaggiamento, ormai inutile. Quando si fermarono a Minaj, ogni plotone scelse un'isba dove gli uomini riposarono e mangiarono la propria scatoletta di carne, chiedendosi se quello fosse il loro primo e allo stesso tempo l’ultimo pasto in attesa che tutte le vettovaglie fossero inviate via camion a Popovka.

All'inizio del secondo giorno di ritirata la colonna cominciò scompaginarsi. Sempre più sopravvissuti della Julia si aggregavano ai compagni della Cuneense, come facevano alcuni gruppi di soldati tedeschi. Molti. alpini giacevano nella neve, morti assiderati, abbandonati lungo i lati del percorso. I vivi proseguirono arrancando per tutta la notte, nella speranza di raggiungere Popovka, dove credevano di poter spezzare l'accerchiamento russo.

All'alba del terzo giorno, la colonna arrivò a Popovka. I resti del rifornimenti di viveri mandati avanti giacevano sparsi in mezzo alla neve tra autocarri abbandonati. Beraudi vide alcune forme di parmigiano rotolate sula strada. Cercò di tagliarne un pezzo, ma era impossibile essendo congelate. Prese cinque chili di carne in scatola, ma li gettò via subito dopo, poiché erano troppo pesanti da trasportare.

Popovka era piena di alpini, di alcuni reparti tedeschi, della Vicenza, e di effettivi dei servizi logistici. Centinaia di so]dati di fanteria senza una guida si erano uniti a questa folla. C'erano molti feriti e tanti altri colpiti da congelamento.

I colonnelli stabilirono che il battaglione Ceva della Cuneense guidato dal tenente colonnello Avenanti, con quel che restava del 8° reggimento della Julia (ridotta ormai a poche compagnie) e con i reparti del gruppo "Conegliano, avrebbe dovuto tentare un altro assalto a Novaja Postojalovka durante le prime ore del mattino.39

Alle 3,30 de 20 gennaio il «Ceva» si spostò verso i villaggio sperando di raggiungere la linea di difesa avversaria con un attacco a sorpresa. La risposta dei russi fu violenta. Con le truppe di fanteria e diciassette carri armati, contrattaccarono assalendo gli alpini che avevano quasi raggiunto la periferia del paese.. n reparto subì pesanti perdite e fu costretto a tornare al punto di partenza.

Durante la battaglia, Battisti e Ricagno giunsero sul teatro di guerra. Entrambi i generali e i loro capi di stato maggiore decisero di attaccare Novo Postojalovka ancora una volta con due battaglioni del 1° reggimento della "Cuneense". Con il  supporto del gruppo Mondovì,  i resti dell’8° reggimento della Julia, ì reparti del gruppo «Conegliano" e quel che rimaneva del Ceva.

Gli alpini SI lanciarono a raggiera sulla neve all'alba avanzando rapidamente, ma le forze sovietiche, protette dalle isbe, cominciarono a sparare non appena gli italiani entrarono in paese. Mentre questi cercavano di romper la barriera fortificata, i russi contrattaccarono con le truppe di fanteria e numerosi carri armati. Alcuni di questi passarono in mezzo alle unità alpine, avanzando a gran velocità, sparando con le loro mitragliatrici e puntando verso i settori in cui si erano raggruppati molti soldati, costringendo gli uomini che incontravano sul loro percorso a buttarsi giù nella neve.

Alcuni alpini corsero coraggiosamente verso i carri armati, decisi a distruggerli. Si arrampicarono sulle fiancate e lanciarono bombe a mano nelle torrette. Altri corazzati procedevano, passando sugli uomini con i loro cingoli, mentre altri ancora manovravano andando avanti e indietro, schiacciando i vivi e i morti e distruggendo i cannoni. Le truppe di fanteria seguirono i carri e completarono il massacro, uccidendo ogni alpino ancora vivo.

Bedeschi descrive questo disperato attacco finale, ricordando il colonnello Verdotti che gridaa: "Tutti i vivi all'assalto! "Savoiaaa!". Gli uomini si buttarono alla cieca in avanti urlando il loro grido dì battaglia mentre seguivano il comandante nella mischia. Una torma disperata si andò contro il nemico.... sospinta. dal desiderio di voler scavalcate la morte, o abbracciarla; dietro i primi, sorsero dalla neve e si slanciarono avanti in un miscuglio indicibile mitraglieri rimasti senz'arma, furieri, telefonisti, graduati, infermieri e conducenti, medici, uomini. delle salmerie artiglieri del pezzo schiantato, e alpini che avevano esaurito l'ultima pallottola.”

Corradi scrive: “..Volavamo... tutti. quanti eroi diciamo. Eravamo pieni di una strana euforia, forse era la paura di poco prima che si sfogava ora in coraggio”  Anche i soldati feriti e congelati. sdraiati sulle slitte; si misero a sparare, e i feriti nei posti di pronto soccorso afferrarono qualunque arma che riuscirono trovare: baionette. Bombe a mano, bastoni, coltellini e fucili usati come mazze. “Spaventevoli apparizioni di forsennati che facevano massa contro il nemico avendo lasciato addietro i moribondi e i morti. Piombarono sull’avversario con irruenza furiosa, s'avventarono; impotenti ad altro, si rotolarono nella neve in lotta mortale con i nemici abbrancati li tennero avvinti a sé quando il carro armato passò ad arare la neve e la carne.”

Quando calò il buio, la battaglia si spense lentamente, e i russi si ritirarono sulle loro posizioni trincerate nel villaggio. I sopravvissuti di questo feroce scontro indietreggiarono nella zona dove avevano lasciato le loro slitte. Portarono i loro feriti e contarono i morti, sparsi sulla neve tra cinque carri armati russi. Per i momento

abbiamo impedito che venissero a ucciderci tutti - dicevano ancora ansanti – ma quando torneranno sarà la fine”

 Battisti tentò più volte di comunicare con il comando del corpo alpino (che si stava ritirando insieme alla Tridentina, ma senza successo; solo alle 8,00 del mattino fu in grado di stabilire un breve contatto radio. Spiegò che gli alpini della «Julia» e della Cuneense avevano dovuto sfondare le barricate russe a Novo Postojalovka prima che le forze nemiche potessero circondare completamente le divisioni e impedire loro di muoversi verso ovest ma ora aveva bisogno di semoventi, fucili e carri armati per portare a termine l'impresa. Sapeva che il XXIV corpo corazzato tedesco si stava ritirando con la Tridentina, e chiese agli alleati armamenti aggiuntivi e mezzi corazzati. Gli venne risposto che la «Tridentina» era impegnata in pesanti combattimenti insieme ai tedeschi nella zona di Postojalyj, una ventina di chilometri a nord di Novo Postojalovka, e che i carri armati e i fucili d'assalto potevano essere inviati alla Cuneense solo se la Tridentina e i tedeschi fossero riusciti a rompere l’assedio russo in quella zona. Il collegamento radio terminò alle 9,30. Fu l'unico contatto che la Cuneense ebbe con le altre forze alpine durante la ritirata.

Solo dopo questo messaggio, Battisti attese per alcune ore i rinforzi da pare della Tridentina» e dei tedeschi, poi comprese che la divisione probabilmente era ancora impegnata a Postojalyj. Capì altresì che prima del buio i russi avrebbero potuto attaccare ancora una volta con forza per evitare che gli alpini si portassero fuori dalla zona di Novo Postojalovka-Cholkoz Kopanki. Alle 14,·00 ordinò al comandante del 2° Reggimento di lanciare l’attacco contro due villaggi a nord di Novo Postojalovka con i battaglioni Saluzzo e Borgo San Dalmazzo, arrivati da Popovka quella stessa mattina. Battisti schierò il Dronero in posizione, fuori da Novo Postojalovka.

Dopo una breve ma estenuante marcia nella neve le forze nemiche attaccarono i due battaglioni della Cuneense ai fianchi. Entrambi i battaglioni subirono gradi perdite. Presto la fanteria attaccò di nuovo con carri armati e mortai pesanti, causando la quasi totale distruzione dei due reparti. I pochi che riuscirono a salvarsi furono i comandanti, alcuni ufficiali e una sessantina di alpini per battaglione.

Millecinquecento furono gli alpini deceduti o feriti a morte.

Al calar della notte del 20 gennaio Battisti concluse che il suo reparto non sarebbe riuscito a sfondare le linee russe a Novo Postojalovka. Decise di disimpegnarsi, tornare indietro, e cercare di passare intorno alla zona tenuta dai russi approfittando del buio e del fatto che gli attacchi quella sera si fossero placati. Il Dronero, posto alla testa della colonna doveva aprire un nuovo percorso nella neve profonda, approfittando di canaloni di piccole dimensioni, Si mossero a nord-ovest in direzione di Postojalyj, con l'obiettivo di raggiungere la Tridentina, e la speranza che questa fosse riuscita a sfondare l'accerchiamento nemico in quella zona. Fu ordinato di abbandonare ogni carico pesante e anche, dolorosa necessità. i feriti che non potevano camminare e che non potevano essere caricati sulle poche slitte disponibili; per stringere le fila e mantenere  il silenzio assoluto.

Ormai il «Dronero» era l’unico battaglione rimasto intatto del 2° Reggimento alpini. Battisti marciò in testa aulla colonna per tutto il resto della ritirata, Beraudi ricorda: “Egli è a cavallo con qualcuno degli ufficiali del quartier generale. Conversa pacatamente con essi e con Guaraldi, comandante del Dronero, come se si fosse in escursione. La sua calma è più incoraggiante di un'arringa eroica.”

 

Fronteggiando le truppe dell'Armata Rossa a Novo Postojalovka; la Cuneense e la «Julia» avevano impedito loro di spostarsi a nord per attaccare la Tridentina impegnata a combattere nelle zone di Postojalyj, Opyt e Skororyb lo stesso giorno. “Se la Tridentina riuscì a superare quelle e le successive resistenze russe e a uscire dalla sacca traendo a salvamento sulla sua scia; migliaia di superstiti delle divisioni sorelle, il merito è anche di queste: della Julia; e della Cuneense, che a Novo Postojalovka seppero scrivere, a un prezzo di molto sangue una delle più eroiche pagine della leggendaria epopea degli alpini.

 

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento 08 gennaio 2015