LA PREGHIERA DEL MULO
Vi sono più d'una preghiera del mulo. Probabilmente
alcune derivate da quella originale, altre invece
completamente nuove.
Quella che ci risulta, salvo smentite, la più vecchia è
quella che risale agli anni '20, ma che pare non nacque
tra gli alpini. Taluni la accreditano al Tenente
Giuseppe Ferrando del Reparto Salmerie del 26° Fanteria
e in seguito venne pubblicata sulla Rivista
Esercito e Nazione. Da questa, considerata originaria,
nacquero versioni che differivano: in alcune frasi, nella
conclusione, nello sparigliare alcune frasi e nel
tagliare una parte del testo. In seguito fu "L'Alpino" che
nel 1934 ne pubblicò una versione.
Qui noi ne pubblicheremo tre: quella originale, quella
pubblicata sull'Alpino del 1948 e una versione ex novo
del Maggiore Domenico Casiraghi.
PREGHIERA DEL MULO AL
SUO CONDUCENTE
Non ridere, o mio conducente, ed ascolta questa mia
preghiera. Quando rientriamo in caserma dopo un
servizio, non abbandonarmi subito, anche se ti senti
stanco; pensa che anch’io ho lavorato e sono stanco più
di te.
Se sono sudato, strofinami con un po' di paglia e mettimi
presto al riparo; per te è poca fatica e mi risparmi
dolori reumatici, tosse e coliche. In scuderia,
specialmente di notte, lasciami legato lungo, perché io
possa giacere e riposarmi. E’ vero che io posso dormire
stando anche in piedi, ma, credilo, io dormo e riposo
bene anche quando sono sdraiato. Ogni giorno puliscimi i
piedi e lavami con una spugna ben bagnata. Ogni tanto, e
specialmente durante le piogge, dammi un po’ di grasso
ai piedi, così mi eviterai malattie allo zoccolo. Certo,
io non sono un animale fine; ma guardati bene dal
pulirmi gli occhi con la spugna con la quale hai pulito
gli occhi ad un altro mulo, senza prima averla ben
lavata; inoltre adopera due spugne, una per gli occhi e
l’altra per le altre parti del corpo, così mi eviterai
malattie. Un giorno ho sentito dire dal Capitano ad un
conducente: “Un buon governo vale mezza razione”, e
questo è vero. Io lavoro spesso nella polvere e nel
fango, sudo, ho bisogno di essere ben governato; quando
la mia pelle è pulita, io mi sento rinfrancato e mangio
di buon appetito, e tu fai bella figura perché mi
presenti ai tuoi superiori col mantello ben lucido.
Fammi bere spesso acqua fresca e pulita, anche durante
il lavoro. Se vedi che io non riesco a vincermi e bevo
troppo in fretta, distaccami dall’acqua; ma non farlo
con brutti modi, perché mi faresti paura, e poi lasciami
ancora bere quando voglio, senza avere fretta; l’acqua
mi fa bene e non mi ubriaca.
Nel mettermi le bardature io divento irrequieto e tiro
qualche calcio in aria; considera che anch’io, come te,
posso soffrire il solletico in qualche parte del corpo.
Accarezzami spesso e parlami, così imparerò a conoscere
la tua voce, ti vorrò bene, sarò sempre buono e lavorerò
tranquillo. Se faccio qualche movimento brusco, pensa
che forse avrò avuto paura, non strapparmi con le redini
e non darmi calci, ma abbi pazienza e fammi qualche
carezza. Vedrai che diventerò subito tranquillo. Anche
se tu sei stanco e sudato, o le mani sono intirizzite
dal freddo, non risparmiarti la piccola fatica di
accorciare la braca quando si va in discesa, e di
allungarla quando si va in salita, e soprattutto non
attaccarti alla mia coda, non tanto per la maggior
fatica, quanto per i giorni di rigore che mi
priverebbero della tua compagnia.
Nelle salite ho bisogno di essere libero nei movimenti,
e perciò allungami la braca; e se la salita è forte,
cerca di accorciare il pettorale in maniera che il
carico non mi vada sulle reni. Facendo ciò, mi
risparmierai fiaccature e cadute, ed io lavorerò
tranquillo. Nelle salite io vado più svelto e tu non
attaccarti al guinzaglio: mi stanchi, mi fai male alla
bocca e puoi farmi perdere l’equilibrio e cadere. In
discesa io vado più piano e tu non tirarmi; vedrai che
arriveremo lo stesso. Lasciami il guinzaglio e permetti
che io veda dove metto i piedi. Stai però pronto a
sostenermi con le redini nel caso che io inciampi. Basta
il tuo aiuto per un secondo per evitarmi la caduta.
Se inciampo aiutami, e ricordati che io sto più attento
che posso per non cadere; non aggiungere alla mia paura
le tue strapponate e le tue parolacce che mi rendono
nervoso e mi fanno venir voglia di scappare.
Se qualche volta io scappo ciò significa che io mi sono
impaurito, adesso che ci sono per le strade tante
macchine che fanno rumore e che al mio paese non ho mai
visto. Io non le conosco ancora tutte e ti confesso che
qualche volta mi impressionano assai. Quando capita una
macchinaccia di queste, non mi tirare le redini, che mi
impaurisco di più, ma accarezzami, specialmente sugli
occhi, e parlami con voce buona; vedrai che rimarrò
tranquillo e non cercherò di fuggire.
Abbi pazienza e non trattarmi male, perché io non sono
cattivo. Mettimi bene la bardatura e guarda che ogni
cinghia sia della lunghezza giusta; in tal modo mi
eviterai dolori e fiaccature.
Quando mi fai governo non mi passare la striglia sulle
gambe e sulla testa; pensa che mi fai male e mi puoi
produrre qualche ferita. Quando sei di guardia alla
scuderia non ti dimenticare di passare la biada allo
staccio; così leverai la polvere che c’è sempre in mezzo
e mi eviterai riscaldi.
Cerca di capirmi e non sfogare mai il tuo nervosismo su
di me. Sappi che le mie origini sono remotissime, che
Omero accennava ai miei servigi nell’Iliade e
nell’Odissea, e così Erodoto nella narrazione della
spedizione di Ciro nel 583 a.C. in Babilonia; che i
romani mi adibirono al traino dei carri e che quelli dei
miei antenati, che avevano la fortuna di avere un
mantello bianco candido, furono prescelti per essere
attaccati alle bighe unitamente alle zebre. Papi e clero
mi prescelsero per cavalcature di cerimonia.
Ed in guerra, sulle bianche giogaie delle Alpi o
sull’aspra pietraia del Carso, attraverso disagi e
privazioni, non fui forse il fedele amico del
combattente al portavo il rancio caldo talvolta persino
in trincea, ed i miei compagni non vennero forse feriti
ed uccisi oppure ebbero la loro brava ricompensa, anche
se questa fu loro concessa sotto forma di aumento
permanente della razione?
Non dimenticare che so sopportare ogni privazione:
freddo, fame, sete, tormenta, fatica, mostrando di avere
la generosità del cavallo guerriero e dell’asino
contadino, la pazienza.
Qualche volta, prossimo alla meta, una pallottola o una
scheggia ha mandato i miei compagni a gambe all’aria con
tutto il carico, giù in fondo al burrone.
Sii sempre buono e paziente e pensa che anche noi siamo
di carne come te ed anche noi soffriamo.
E’ vero che ho dei difetti ma, credilo pure, non sono
una bestia feroce, e le mie orecchie tradiscono sempre
le intenzioni poco amichevoli. Chi non mi conosce bene
ritiene che io sia sospettoso, cattivo, caparbio,
irrequieto, vendicativo, ma chi vive la mia vita sa con
quanta rassegnazione e volontà io esplichi tutti i
servizi, anche i più gravi, e con quale docilità e
fedeltà io serva chi ha cura di me.
Caro conducente, quando andrai in congedo e dovrai darmi
in consegna al conducente recluta, cerca di spiegargli
bene i miei difetti, e raccomandagli come deve trattarmi
così mi risparmierai un periodo di sofferenze, ed al
dispiacere di vederti andar via non dovrò aggiungere
quello di capitare in mano ad un coscritto poco pratico
e cattivo.
Il tuo amico mulo
PREGHIERA DEL MULO
(Pubblicata su L’ALPINO del 31 marzo 1948)
A
te, mio buon conducente, rivolgo questa preghiera.
Dammi sempre da mangiare e da bere e quando il mio
lavoro è finito provvedimi un riposo comodo; se non puoi
darmi una lettiera asciutta e pulita in uno stallo largo
e areato, fa almeno che possa riposare su un terreno
pianeggiante, senza pantano, che sia al riparo dai venti
durante le stagioni fredde che sia all’ombra durante
l’estate. Quando rifiuto il cibo guardami in bocca, può
darsi che qualche male alle gengive od alla lingua mi
impedisca di mangiare, avverti sempre di questo i tuoi
superiori.
Siccome io non posso dirti quando ho sete, fammi bere
spesso acqua fresca e pulita, anche durante il lavoro;
lasciami il tempo perché possa mangiare tutta la mia
razione di fieno e di avena. Parlami, la tua voce è
talora più efficace della frusta e delle redini,
accarezzami sovente perché io possa imparare ad amarti
ed a servirti meglio. Ogni giorno esamina i miei piedi,
assicurati che i ferri siano ben attaccati, governami
con dolcezza, non farmi male con le striglia, adopera di
preferenza la spugna bagnata. Non tagliarmi la coda,
privandomi così della mia miglior difesa contro le
mosche ed i tafani che mi tormentano. Non fare strappate
alle redini, e, nelle salite, non mi frustare! Non darmi
calci, non battermi quando io non capisco quello che
vuoi, ma fa che io possa intenderti. Se mi rifiuto,
assicurati che il morso o il basto non siano fuori
posto, e che non vi sia qualche cosa nei piedi che mi da
dolore. Se mi adombro, non
percuotermi, ma pensa che ciò
può dipendere da qualche cosa che mi impedisce di veder
bene, o da difetto alla mia vista. Non obbligarmi a
portare un peso eccessivo alle mie forze, guarda che il
carico sia ben equilibrato quando cado, abbi pazienza ed
aiutami, e se inciampo, considera che ciò non dipese da
colpa mia, considera il terreno accidentato che mi fai
percorrere, non darmi frustate che mi rendono pauroso e
nervoso. Se hai un poco di cuore non attaccarti alla mia
coda durante le salite; pensa che io ho già un carico da
portare e che se tu pure ti fai trascinare, accresci di
molto la mia fatica, pensa quale dolore procuri tirando
per tanto tempo la mia povera coda! Cerca di ripararmi
dal sole. Nelle soste, quando fa freddo, o sono sudato,
mettimi una coperta addosso; ricordati però di levarla
quando lavoro. Vogliami bene, mio buon conducente;
curami che in guerra ti sarò molto utile. Ti sarò
l’amico prezioso.
PREGHIERA DEL MULO
Signore delle montagne
siamo rimasti in pochi
noi, i muli con le stellette.
Ci è stato detto che le Truppe alpine
non hanno più bisogno di noi
e siamo stati messi in congedo!
Quante fatiche su dirupi e ghiacciai!
quante tragedie abbiamo condiviso
con le penne mozze!
Quante tristi immagini
nei nostri pazienti occhi!
Quanti feriti abbiamo salvato
tirando slitte
fino allo stremo delle forze.
Il nostro sangue è scorso insieme
con quello degli Alpini
morenti fra le rocce
e nelle gelate steppe di Russia!
Conservaci, Signore delle vette.
C'è ancora bisogno del mulo
che arranchi accanto all'Alpino.
C'è ancora bisogno del mulo
che insegni all'uomo di oggi
il dovere e il sacrificio!
Nel paradiso di Cantore
ci sia un posto anche per noi,
Signore
Maggiore Domenico Casiraghi