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Muli e alpini

Il mulo meccanico

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Aneddoti

Muli in guerra

Quel giorno...

Video E.I.

 

 

 

Il mulo e l’alpino hanno iniziato la loro collaborazione a partire dalla fondazione del Corpo nel 1872.

Ma cos’è il mulo: è un bizzarro animale che non esiste in natura, ma è un incrocio, la cui origine si perde nell’antichità, tra l’asino stallone e la cavalla il cui frutto è un animale sterile chiamato Mulo. Il contrario, ovvero l’incrocio tra un cavallo stallone ed un’asina, è chiamato Bardotto.

L’aspetto esteriore dipende direttamente dalle razze asinine e cavalline usate per l’incrocio. Tuttavia si può dire che nella maggioranza dei casi ha, rispetto all'asino, dimensioni maggiori e rispetto al cavallo testa e zampe in proporzione più grandi e massicce. Le orecchie sono più allungate.

Dalla selezione, che avvenne nell’arco del tempo, si ottenne un animale da soma di  costituzione assai forte e robusta alla quale si assommavano caratteristiche quali la rusticità, la resistenza alle malattie, l'adattabilità ad ambienti sfavorevoli, la sobrietà. Va da sé che un tale animale era il giusto complemento il cui inserimento nelle neonate Truppe Alpine avrebbe risolto il problema dei trasporti in ambiente montano.

I muli nell’esercito venivano suddivisi in classi a seconda delle caratteristiche fisiche: altezza al garrese, forza fisica, resistenza:

 

Classe

Tipo mulo

Tipo carico

Limiti di statura

Peso minimo in Kg.

Circonferenza toracica in cm.

Circonferenza stinco in cm.

1° Classe

Muli per art. da montagna

Carichi da tiro e centrali

148-156

460

180

0,21

2° Classe

Muli per art. da montagna

Carichi laterali

148-156

400

175

0,20

3° Classe

Muli per salmerie

Salmerie alpine

146-154

350

170

0,19

 

I muli di prima classe erano i più robusti e venivano usati per il trasporto di armi e munizioni, in particolare per il trasporto dei pezzi d’artiglieria che si compongono di 3 pezzi: piastra, affusto e bocca da fuoco. Infatti il mortaio da 120 necessitava di almeno tre alpini per essere trasportato a spalla.

Quelli di seconda e terza classe erano, invece, più piccoli e meno resistenti e venivano solitamente usati dalla fanteria alpina per il trasporto di tende, munizioni e approvvigionamenti vari.

 

Per assolvere al loro compito  gli alpini furono dunque dotati del fedele alleato sin dalle loro origini. Infatti ad ogni compagnia fu assegnato un mulo ed una carretta per il trasporto di vettovagliamenti e munizioni. Il binomio mulo-alpino ha dunque la stessa origine del Corpo stesso. Nel 1877 con atto n° 132 veniva decisa la marcatura che avveniva a fuoco sulla fascia esterna dello zoccolo anteriore sinistro a distanza di 15 mm. Tale numero veniva rinnovato per l'accrescimento dell'unghia o per la ferratura dell'animale. Vista la sua utilità già nel 1888 il numero dei muli salì a 8 diventando di fatto un "soldato a quattro zampe", ma la vera simbiosi iniziò durante la Grande Guerra.

Durante la prima guerra mondiale il mulo rappresentò l’unico mezzo di trasporto attraverso i difficili sentieri di quelle montagne che ne furono il teatro. Non è dunque per caso che tali sentieri continuano a tutt'oggi ad essere chiamati mulattiere. Il mulo, che possiamo considerare vero mezzo da combattimento, fu fondamentale, se non indispensabile, per trasportare armi e rifornire i reparti in alta montagna.

Da un calcolo fatto durante la Seconda Guerra Mondiale ne risultavano presenti, a fianco degli alpini,  circa 520.000 unità.

Nei primi anni 90 le cinque Brigate Alpine (Julia, Taurinense, Cadore, Orobica e Tridentina) ne avevano al loro servizio ancora 700 che ormai stavano avvicinandosi al congedo. Infatti nel 1991, per ragioni di costi troppo onerosi per il loro mantenimento, fu stabilito che se ne potesse fare a meno dando inizio ai tagli sulle Truppe Alpine a partire proprio da loro.

Vi era l'idea di sostituire il benemerito servizio svolto dai muli in circa 120 anni nelle Truppe Alpine sostituendoli con il più moderno, ma non altrettanto duttile, "mulo meccanico". Il 3x3 costruito dalla Guzzi su precisa indicazione del Gen. Garbari è senza dubbio il mezzo più controverso, brutto, e allo stesso tempo tecnicamente interessante, che la Moto Guzzi abbia mai prodotto. Benché abbastanza disinvolto a livello di prestazioni fuoristradistiche, all'atto pratico non comportava significativi vantaggi rispetto ai Muli in carne ed ossa e fu quindi rapidamente accantonato, come ricorda il Gen. Cavallari già Comandante della Brigata Taurinense, accostandolo ad altri mal riusciti esperimenti che riguardavano il mulo:

 

"... ho personalmente condotto, come i famosi (ma poco pratici) “muli meccanici” una specie di motociclo semi cingolato che avrebbero dovuto sostituire il tradizionale mulo, il mio giudizio negativo risultò azzeccato ed il progetto fu accantonato. Erano anni nei quali si cercava a tutti i costi la “modernizzazione” con progetti che oggi fanno sorridere, come la barella porta feriti someggiata che al primo impiego operativo così giudicai: il ferito (simulato) ha riportato al termine del percorso dal luogo della ferita all’ospedaletto da campo, a causa del movimento sussultorio-ondulatorio del mulo, un aggravamento dei danni della ferita stessa. (Il povero artigliere, partito sano, era sconvolto. Anche questo progetto fu accantonato. Un’altra “sperimentazione” che ricordo furono le “racchette da mulo”. Di forma circolare, venivano calzate agli zoccoli e avrebbero dovuto, con la neve alta, sostenere il mulo. Bene, presi due Sezioni della mia batteria, una con muli a zoccolo libero ed una con muli “racchettati”, indicai il percorso e mi portai alla zona di arrivo. I muli a zoccolo libero marciavano tranquilli sulla neve che arrivava loro al ginocchio, gli altri, goffi ed impacciati dal passo non naturale li dovetti fermare per non sfiancarli. Queste “racchette”, pur con mio parere negativo, vennero comunque distribuite a diversi reparti, ma praticamente non sono mai state utilizzate."
 

Ma tutto ciò gli alpini già lo sapevano, sentenziando che nessun mezzo meccanico avrebbe mai potuto sostituire la "Jeep a pelo" e tantomeno gli "sconci", così chiamavamo scherzosamente i loro conducenti.

I muli così riformati venivano marchiati con una croce impressa a fuoco sulla coscia sinistra.

A noi piace pensare che quel marchio non sia stato un segno distintivo per un animale divenuto ormai inutile,  bensì l'effige di una Medaglia al Valore conferita ad un "combattente a quattro zampe" che  Roberto Bianchin definisce molto bene in un suo articolo su Repubblica del 29 agosto 1993 dove si preannunciava l'asta degli ultimi 24 muli dell'esercito:

"...quali compagni di guerra, alleati preziosi e insostituibili, testardi e fedeli, essi hanno portato i viveri e le tende, i cannoni e i feriti, senza curarsi della fatica, del caldo, del freddo, della neve, dei sentieri scoscesi, delle rocce che spaccavano gli zoccoli. Hanno riportato a casa i compagni morti in battaglia. Sono stati amici discreti e silenziosi. Hanno ascoltato i dolori e le gioie. Sono serviti per scaldarsi nelle notti di tempesta, sono serviti anche da morti. Perché i soldati, che non avevano altro, non morissero di fame."

 

"Generoso animale che ha sempre dato agli uomini senza mai pretendere nulla che non fosse un po' di biada e un po' di attenzione, anch'esso avviato, purtroppo, sulla triste via dell'estinzione. Compagno d'armi, pioniere delle nuove conquiste, forte negli aspri cimenti, paziente nelle dure privazioni. Dimenticato dai più nella gloria della vittoria..." questo ci ricorda la lapide, sulla tomba di un mulo, posta dagli alpini della "Pusteria" a Mai Ceu nel 1936.

 

 

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento 08 gennaio 2015