ANEDDOTI
Nell'arco dei molti anni che hanno accomunato i muli
agli alpini sono stati molti i ricordi, gli aneddoti ed
i racconti che hanno avuto il mulo quale protagonista.
Se pur consci che non basterebbero fiumi di inchiostro,
o meglio, di battute sulla tastiera per renderli noti,
ci fa piacere scriverne alcuni quale giusto compendio a
queste pagine relative al nostro amico a quattro zampe.
"Tre volte cadde sulla mulattiera,
poi la mitraglia al suolo lo inchiodò;
nell'occhio spento c'era una preghiera
il conducente in capo lo baciò.
A cadere a terra è un mulo, uno dei tanti muli che
trovarono la morte nel corso della Prima Guerra
Mondiale. A baciarlo è un Alpino, di cui quel mulo fu
fedele compagno d’armi. Insieme avevano percorso
sentieri impervi, condiviso silenziosamente fatiche e
rischi, sopportato con pazienza durissime privazioni.
Insieme si erano sacrificati per la Patria.
Questo ricordo è
narrato dal Gen. Giuseppe Bruno, ufficiale veterinario
nelle campagne della seconda guerra mondiale sui fronti
occidentali, greco-albanese con la Div. Tridentina ed
infine russo con la Div. Cuneense e con la 121ma
infermeria quadrupedi del Corpo d’Armata Alpino. Lo
scenario è l’Albania ad Han:
…."era
impressionante udire sulla mulattiera, di notte,
l’affannoso ansimare dei conducenti e dei muli,
contrappuntato dall’ossessivo "sgnac-sgnac" degli
scarponi e degli zoccoli". "La notte l’è, ‘na brutta
bestia " osservava qualche conducente allorché si
facevano corvè al buio. E, in effetti, quell’ansito
collettivo nelle ostili notti albanesi pareva uscire
dalla gola di un mostro sconosciuto. Dopo tre, quattro
ore la corvè raggiungeva le linee e per gli alpini che
stavano lassù erano momenti di festa perché "ostrega, el
ghè ben fra ste bestiasse el mul che gà la posta e il
vin". E il mulo che portava vino e posta era il primo ad
essere liberato dal carico. Prima di riprendere la via
del ritorno i conducenti si concedevano un’ora di sosta.
In pochi minuti consumavano quel poco che avevano con
sé, bevevano un caffè caldo ed un bicchiere di vino,
attaccavano le musette di biada al muso dei quadrupedi e
poi si buttavano nel primo ricovero col telo tenda che
sempre portavano al seguito e si addormentavano
d’acchito. Tre quarti d’ora di oblio e poi, giù in
discesa, per una nuova cura integrale di fanghi. La
discesa era forse più penosa della salita in quanto la
fatica delle ore precedenti aveva rotto le ginocchia ed
allentato i riflessi e più facilmente uomini e muli
cadevano nel fango. Ma in coda alla colonna vi erano i
conducenti ed i muli che non potevano, non dovevano
cadere. Erano quelli addetti al trasporto dei feriti,
dei congelati, non di rado morti. Un pietoso carico
umano che poteva essere smistato nelle retrovie
unicamente a dorso di mulo".
(da "Storie
di Alpini e di muli" di Giuseppe Bruno)
Il secondo
narra un episodio successo a Jvanowka, sul fronte russo;
i personaggi sono gli artiglieri alpini della 26E’
Batteria della Julia…….."La fronte consisteva di una
rada unica riga di circa trecento uomini distesi sulla
neve, disposti ad arco a circa 600 metri oltre
l’abitato. Il nemico cominciò ad avanzare guardingo,
lentissimo, parve voler distendersi di preferenza in un
più vasto raggio, abbracciando il paese lontano. Non
Sparava. Solo dopo un’ora di attesa un sibilo fischiò
nell’aria ed una granata scoppiò sull’abitato di
Jvanowka. "Serventi ai pezzi" disse Reitani. Attorno ai
cannoni era stato trattenuto un minimo di servizio; gli
altri artiglieri imbracciato il fucile, s’erano stesi
nell’esile arco inframmezzati agli alpini. Una batteria
russa aprì il fuoco sul paese…….
Le fanterie russe cominciarono ad affacciarsi su un
costone antistante l’arco difensivo. Alcune loro
mitragliatrici incominciarono a cantare nell’aria tersa,
gli alpini controbatterono con le armi automatiche…..Le
isbe cominciarono a bruciare, la neve zampillava di
sempre nuove fontane lasciando sul terreno il nero dei
crateri scavati dalle granate. Reitani rispose sparando
a zero sui reparti che premevano sulla filiforme linea
degli alpini…..Sul finire della mattinata i russi
mutarono tattica: cessarono di lanciare reparti
compatti. "Non riescono a sfondare! Si fermano".
Esclamavano i soldati esultanti. "E’ mezzogiorno, si
fermano a mangiare" commentava ironico il sergente
Sguario, capo pezzo del quarto pezzo. Essendo pressoché
cessato l’urto delle fanterie, l’artiglieria russa
infieriva ora con maggiore furia sottoponendo il paese
ad un martellamento continuo. Una slitta ed un mulo
presso un pezzo saltarono in aria . "Guarda Scudrèra"
disse il capitano a Serri indicando il conducente che
metteva al riparo il suo mulo dietro una pila di
cassette di granate. Scodrèra aveva passato il braccio
attorno al collo del mulo e col viso appoggiato al muso
gli andava accarezzando la mascella. "Non aver paura" –
gli diceva lisciandogli il pelo – "ci sono sempre qua
io, il tuo padrone non si dimentica di te, stai sicuro:
piuttosto che lasciarti fare prigioniero ti sparo, una
fucilata in un orecchio. Va bene?", gli domandava infine
sorridendo e tirandogli l’orecchia, e poiché gli era
vicino, affettuosamente gliela baciava, senza esitazione
e senza pudore…"
(da
"centomila gavette di ghiaccio" di G.Bedeschi)
La leggenda
di Schena e del suo mulo.
L’artigliere
alpino Schena, classe 1910, distretto militare di
Belluno, era la macchietta dell’8° Reparto Salmerie
della Divisione Julia.
Magro, lungo
ed allampanato portava nelle carni il marchio delle
privazioni e delle fatiche sopportate da sempre.
Le gote
smunte ed incorniciate da una barbetta caprigna gli
conferivano un’aria grottesca maggiormente accentuata
dal peso della grande testa schiacciata tra le spalle
cadenti.
Le braccia
lunghe e magre, anche quando camminava, gli ciondolavano
inerti lungo i fianchi e terminavano in due manone
spesse e callose dello stesso colore del cuoio.
Al centro
del capo, che portava pelato, spiccavano due lunghi
ciuffi di capelli simili ai due ciuffetti di peli
lasciati sulla criniera rasata dei muli della sua
sezione (la 2a) per distinguerli.
Schena era,
infatti un conducente della 2° sezione e questo era la
sua grande ambizione, il suo orgoglio.
Nino, il
mulo che gli era stato assegnato, per una bizzarria del
caso aveva più di un punto in comune con il suo
conducente. Il modo stesso come era bardato (non erano
serviti insegnamenti, consigli, ammonizioni) conferiva
alla povera bestia una somiglianza quasi fisica con
l’alpino. Affinità elettive……? Certo è che l’uno era
fatto per l’altro; un affetto quasi umano li legava.
….Dopo il
mulo Schena nutriva una devozione particolare per il
tenente, il "suo" tenente, perché lui l’aveva capito! Il
tenente aveva capito la sua fame atavica e gli passava i
supplementi rancio e gli permetteva, cosa a cui ambiva
in sommo grado, di intrufolarsi in cucina a pulire le
marmitte (ci scappava sempre qualcosa per calmare la sua
fame insaziabile). Il "suo" tenente gli leggeva le
lettere della morosa e lo aiutava a sbrigare la rara
corrispondenza che lo legava alla vecchia madre lasciata
ad intristire in una baita del lontano villaggio di
montagna.
Perché il
"suo" tenente chiudeva un occhio su tante cose della
"naja" che il povero Schena nella sua ingenua bonomia
non riusciva a capire e che gli avrebbero potuto causare
anche qualche grattacapo.
Questo era
il conducente Schena e questa che racconto la sua ultima
avventura.
……Finalmente
a notte inoltrata arrivò l’ordine di ripiegare su
Mariewka in direzione ovest verso Waluiki. Si camminò
senza soste tutta la notte. L’alba ci sorprese impegnati
in una marcia durissima, resa lenta dalle piste gelate e
dal sovraccarico dei muli e delle slitte. Un vento
gelido e tagliente soffiava da tramontana e mozzava il
fiato; già si contavano i primi congelamenti. Ad
Olichowatka fummo presi di mira dal cannoneggiamento di
alcuni grossi carri armati russi.
……Giungemmo
a Mariewka verso l’imbrunire. Il freddo, la fame, la
stanchezza ci avevano spossati. Si distribuì un po’ di
rancio caldo approntato alla meno peggio e poi si
ripartirono gli uomini sfiniti dal freddo e dalla fatica
suddivisi per squadre nelle varie isbe del villaggio
affinché potessero rinfrancarsi per affrontare le
avversità che ancora li attendevano. Sentinelle venivano
accuratamente disposte nei punti nevralgici del paese.
Lo sfinimento ci fece piombare in un sonno profondo e
pieno di incubi.
…..Ci giunse
dall’esterno il crepitio rabbioso di alcune
mitragliatrici. La notte era fonda; nell’aria gelida
sfrecciavano le scie luminose tracciate dai proiettili.
Di corsa ci radunammo in un punto precedentemente
convenuto. Anche i nostri incominciarono a sparare;
imbastimmo una debole difesa e ci riordinammo per
proseguire verso ovest. Contammo le prime perdite,
alcuni uomini infatti della squadra comando mancavano
all’appello.
……Verso
l’alba si presentarono al Ten. Gilibert un ufficiale ed
un caporale di sanità. Facevano parte di un ospedaletto
da campo che operava nelle retrovie del fronte. Ci
misero al corrente della loro situazione e quasi
implorarono che venisse loro assegnata una slitta per
trasportare due feriti gravi che la sera precedente
avevano dovuto abbandonare in un’isba, affidandoli alle
sole cure di un loro commilitone.
L’ufficiale
comandante la Sezione avrebbe potuto scegliere a caso ed
ordinare a l’uno od all’altro dei conducenti di
invertire la marcia. Il tenente Gilibert preferì invece
parlare ai suoi Alpini; a loro prospettò la necessità,
il dovere di soccorrere due commilitoni feriti che
chiedevano, imploravano il loro aiuto.
"chi si
sente di offrirsi volontariamente si faccia avanti". Ci
fu un attimo di incertezza, poi, ecco con il suo passo
ciondolante avanzare il nostro Schena, seguito dal suo
inseparabile mulo.
"agli
ordini, sior tenente, se è solo per questo ghe vado mi.
Mi go niente da perder…." E rivolto al mulo "elo vero,
Nino?".
"mandi"
Schena, povero "vecio" Schena, umile e rozzo alpino del
Cadore, ancora ti vediamo mentre sul bianco immacolato
della neve ti allontanasti tenendo per la cavezza la tua
"creatura". Nei nostri occhi è rimasta impressa la tua
goffa e sgraziata immagina che rimpiccioliva
allontanandosi verso l’orizzonte. Eri divenuto un nero
puntino che si perdeva nella candida e sconfinata
desolazione della steppa gelata, fino a scomparire per
sempre.
(dalla
bibliografia del Capitano Giliberti Gilberto di Prai)
“.....Per esprimere almeno in parte quello che
rappresenta il mulo per il mondo alpino, ricorderò un
episodio emblematico accaduto ad un collega qualche anno
fa, durante un brevissimo viaggio di nozze all'Isola
d'Elba. La sera dell'arrivo a Porto Azzurro il
Comandante della Stazione dei Carabinieri del posto si
presentò al giovane Capitano per recapitargli con
urgenza un telegramma inviatogli dal suo vicecomandante,
il cui testo diceva pressappoco così: "Vaglio rosso
deceduto per colica stop".
E non era uno scherzo! Il Vaglio rosso era uno stupendo
mulo roano che aveva prestato servizio con onore in un
reparto alpino! Preferisco non pensare alle conseguenze
che la ferale notizia può aver avuto sulla prima notte
di matrimonio del Capitano! Questa concezione quasi
umana del mulo non deve stupire e non stupisce
certamente gli alpini che per circa 120 anni hanno
vissuto in simbiosi con lui. Per questo, il mulo è
entrato nella letteratura alpina da protagonista, quale
insostituibile modello operativo per muovere in
montagna, in situazioni estreme. La sua potenza, la sua
grande generosità, ma anche la sua spiccata sensibilità
e qualche volta rusticità, resteranno nella storia. E
gli alpini lo ricorderanno con affetto e malinconia. E
la montagna, l'alta montagna, quando sarà violata dallo
stridente rombo di motori costruiti dall'uomo,
rimpiangerà il genuino e romantico nitrito del mulo”.
(Gen. Com.te Luigi Federici)
Lettera al mio mulo
"Il primo giorno, non conoscendoti bene, avevo un po' di
timore, ma poi é nata un'amicizia. Con quelle grosse
orecchie e quel tenero sguardo in quell'imponente corpo.
Guardandoti in quegli occhioni grandi dove si scorge
tanta tristezza, forse per i maltrattamenti subiti. Non
temere, avrò molta cura di te. Sapevi sempre quando
arrivavo la mattina, perché ti mettevi a ragliare e
quando mi avvicinavo a te mi appoggiavi la testa sulla
spalla. Sapevi che nel taschino della mimetica c'era il
tuo cioccolato e te lo prendevi. Abbiamo camminato
fianco a fianco e bevuto dalla stessa borraccia. Quando
ti strigliavo mi sembrava che tu mi sorridessi. Ricordo
ancora oggi il campo invernale, il bianco della neve che
ci circondava e il freddo. Avevi i baffi ghiacciati in
quella stalla fredda dove, quella notte di bufera, il
tuo grosso corpo divenne per me un comodo giaciglio. Di
te avrò sempre un affettuoso ricordo, caro amico mio."
(Artigliere Luca Masciadri gruppo "Asiago" - 30ma
batteria)
"Durante il ripiegamento avevamo centinaia di slitte
trainate da muli, che soffrivano con noi e non avevano
da mangiare che qualche sterpaglia che spuntava dalla
neve. Povere bestie, erano coperte di ghiaccio, e,
rammento, la presenza di quegli animali era qualcosa di
rassicurante per tutti. Infatti mentre camminavamo
giorno e notte cercavamo sempre di stare vicino ad un
mulo, così ognuno di questi animali aveva sempre attorno
un gruppo di dieci o quindici soldati. [...] Una volta
un conducente rimase ferito da una scheggia che gli
fratturò la gamba ed io che ero ufficiale medico tentai
di prestargli qualche cura, quando ad un certo punto il
suo mulo gli si avvicinò e infilò il muso tra la terra e
la nuca del ferito, in modo da sostenerlo, riscaldarlo,
confortarlo. Una scena che non dimenticherò mai."
(Giulio Bedeschi in Centomila gavette di ghiaccio)
“...Questo comportamento così umano nei riguardi del
mulo non deve stupire e sono sicuro non stupisce
certamente gli alpini che per oltre 120 anni hanno
vissuto una simbiosi irripetibile con lui. Fino a
qualche anno fa il mulo era l'unico mezzo da trasporto
per muovere in alta montagna; al mulo era legata in
buona parte la sopravvivenza dei reparti che operavano
in zone impervie sprovviste di strade. La sua
resistenza, la sua agilità, la sua grande generosità, ma
anche la sua spiccata sensibilità resteranno nella
storia. Vi sono molti episodi che narrano di conducenti
che hanno diviso la "pagnotta" con i muli, del mulo che
protegge l'alpino, dell'alpino che parla col suo mulo.
Tra le battute che circolavano nelle caserme degli
alpini una è singolare. Correva voce che "Dove il mulo
non arriva, l'artigliere era capace di portarselo in
spalla". Ma la scena più commovente si aveva quando il
conducente. con il foglio di congedo in mano andava a
salutare il suo mulo. Purtroppo oggi il mulo non c'è più
nell'Esercito Italiano, schiacciato sotto il peso del
progresso, è stato mandato in pensione. La difficoltà di
reperimento di giovani capaci di governare il mulo, il
sempre più sfavorevole rapporto costo-efficacia. e
l'avvento di nuovi materiali e sistemi d'arma. hanno
determinato la fine del mulo nei reparti alpini. Al
presente nei reparti alpini il successore del mulo è un
mezzo ruotato da montagna in possesso di una buona
mobilità fuori strada e in grado di soddisfare le
esigenze operative delle truppe alpine. Certamente
questo veicolo non sarà mai in grado di sostituire il
mulo in quanto sarà impossibile, nonostante gli enormi
progressi della tecnologia, realizzare un mezzo capace
di percorrere gli impervi sentieri dell'alta montagna
con l'agilità e la bravura del mulo. Durante il mio
servizio ai reparti alpini ho visto molte volte muli che
percorrevano un sentiero - affacciato sul vuoto - largo
appena 50 centimetri senza la minima difficoltà. Il mulo
mancherà tanto ai reparti alpini, specialmente ai Quadri
più anziani, che lo consideravano un protagonista
importante di ogni attività. Questi buoni, pazienti muli
con le stellette, in tante guerre e in pace, hanno
diviso tutto con gli alpini e moltissime volte hanno
determinato la salvezza di migliaia di "Penne Nere". Con
loro si chiude un'epoca. Gli Alpini lo ricorderanno
sempre con affetto, orgoglio e rimpianto. Addio muli,
addio "sconci" indimenticabili”.
(Gen. Tullio Vidulich - ex Pres. Museo Nazionale degli
Alpini)