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LE PENNE MOZZE

 

 Quando in battaglia un alpino cadeva a terra con un gemito, c'era sempre l'amico che gli si inginocchiava accanto e fissava sgomento gli occhi del colpito a morte, quel sangue che usciva lento da qualche parte del corpo disteso. E sempre lì vicino c'era inoltre qualcosa d'insanguinato, nella caduta rotolato due metri più in là, ma sempre gelosa proprietà del morente: quel suo cappello. Allora il soccorritore lo raccoglieva, lo riguardava, restava indeciso con quel cappello fra le mani, senza arrischiarsi a rimetterlo al suo posto abituale, non si mette il cappello in testa a un uomo sdraiato e ormai morto; per il dolore e per l'impaccio qualcosa nella gola non andava più né su né giù, ed era quel gran magone, quella desolata voglia di piangere per l'amico che stava intiepidendosi e col quale non si poteva più parlare: non rispondeva più.

 

Allora accadeva che infine per istinto il cappello veniva posato sul petto del Caduto, su quel torace ormai immobile, ma poi l'alpino restava ancora inginocchiato a guardare in silenzio. A quel punto, tenendo lo sguardo sul cappello posato su quel torace fermo, si accorgeva che nella rovinosa caduta anche la penna s'era spezzata. Nei combattimenti furono la prima, poi due, poi cinque, poi dieci e cento le penne spezzate a quel modo; finché gli alpini si avvidero che quello era il segno della morte, la morte di un alpino, e qualcuno di loro cominciò a indicare timidamente i fratelli caduti chiamandoli 'le Penne Mozze', come a dire in un modo meno brutale e quasi un poco poetico: una vita spezzata in due.

E siccome nell'animo degli alpini, in apparenza ridanciani e spesso ruvidi e perfino a volte rozzi, sta sempre sprofondato un tantino di poesia, quel 'Penne Mozze' resse nel tempo, e col consolidarsi e moltiplicarsi della storia delle Penne Nere diventò tradizionale ed esclusivo sinonimo di alpino caduto. Gli alpini ancora non sapevano, ma la sempre ritornante follia degli uomini avrebbe poi provveduto, nel tempo, a ricacciarli in sempre nuove guerre, e a far sì che le Penne Mozze diventassero a un certo punto più numerose degli alpini viventi; e a un dato momento le Penne Mozze s'erano moltiplicate tanto da dover trovare un loro posto dove metterle, e così fu ideato e costruito un luogo apposito, chiamato il Paradiso di Cantore. (Tratto da L'Alpino   01/02/2005)

 

Anche noi abbiamo le nostre "Penne Mozze". Amici, membri o fondatori del Secondo Sessantasei che sono andati avanti verso il Paradiso di Cantore dove un giorno ritroveremo, ma che oggi, ci sembra giusto ricordare.

 

 

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Ultimo aggiornamento 10 settembre 2015