IL
GENERALE CANTORE
Tra le figure leggendarie che contraddistinsero il Corpo degli
Alpini, quella del Generale Antonio Cantore, ha senza dubbio
affidato alla storia una figura unica.
Antonio Cantore naque
a Genova Sampierdarena, allora Comune e oggi delegazione del
Comune di Genova,alle ore 24 del 4 agosto 1860 da Felice
fu Giovanni Battista e da Ferri Mariana fu Giuseppe.
La famiglia era di
umili origini. Come riportato dall'atto di nascita, il padre
svolgeva il lavoro di "portiere delle vie ferrate" (casellante)
presso la ferrovia locale e la madre "lavorante di casa"
(casalinga) di modesta levatura sociale.
Il giorno successivo
venne Battezzato da don Giovanni Ferrari presso la
Parrocchia di S. Martino della Cella con il nome di Antonio
Tomaso. Padrini furono Antonio Leandro e Teresa Frei.
La famiglia Cantore
abitava in una casetta-casello di proprietà delle ferrovie che
può essere individuata in quella che fu una antica chiesetta
della famiglia Cibo trasformata in casello alla costruzione del
viadotto della sferrovia in Vico Cibeo al civico n° 8.
uno stretto passaggio che subito dopo il sottopasso porta alla
casetta, ed ora chiuso perché privato delle ferrovie. Il Gruppo
A.N.A di Sampierdarena, intitolato appunto al Generale Cantore,
il 9 ottobre 2010 ha posato una lapide commemorativa al
fianco dell'ingresso del sottopasso.
Cantore si dimostrò
uno scolaro diligente e maturò negli insegnamenti ricevuti dalla
famiglia conoscendo appieno il senso del dovere e della fatica
appresi anche durante la frequentazione dell'Istituto Tecnico
prima e iniziando la carriera militare dopo.
Scartato dalla leva
militare della Marina, perché portatore di un difetto di vista
in quanto miope, frequentò l'Accademia Militare di Modena da
cadetto. Nel 1886 ne uscì quale sottotenente di prima nomina, lentamente raggiunse il grado
di capitano di fanteria e dopo aver frequentato la Scuola di Guerra la
nomina a
Maggiore
e
venne destinato
nei reparti Alpini raggiungendo il grado di colonnello.
Con questo grado il 1 ottobre1909 costituì l’8° Reggimento
Alpini, genericamente detto “Reggimento Cantore”, e ne
divenne comandante con l’incarico di addestrarlo per compiti
diversi dalla guerra in montagna. Tale Reggimento era costituito
dai Battaglioni Susa, Vestone, Feltre e Tolmezzo.
Era
in previsione negli alti comandi di riprendere la campagna
coloniale interrottasi nel 1896 con la sconfitta di Adua.
Dapprima gli alpini furono vennero impiegati nella guerra
italo-turca del 1911-12, alla fine della quale Cantore ricevette
una decorazione. In seguito, partito da Napoli col suo
reggimento fu inviato il 28-9-1912 in Tripolitania (Libia), con
l'incarico di contrastare le bande di ribelli. Durante le
battaglie di Assaba e Tebedut, riuscì col battaglione Tolmezzo
a battere il Senusso usando le
armi dell’astuzia, mobilità e
rapidità. Con marce forzate di centinaia di chilometri in pochi
giorni, sorprendeva l’avversario e apparendo da parti diverse in
tempi brevissimi sconcertandolo. Esempio di coraggio e per due
volte consecutive appiedato dal cavallo colpito, ogni volta
scattava in piedi continuando ad incitare i suoi alpini
ponendosi alla loro testa alimentando il mito della sua
invulnerabilità. Cantore si distinse e seppe assicurare il
controllo della colonia, compreso l’interno della Tripolitania e
Cirenaica. Per queste azioni gli venne conferita la croce di
Cavaliere, e quella di Ufficiale dell’ordine militare di Savoia.
Ma a differenza dei tanti alti ufficiali di allora, quando le
sue truppe rientrarono in Italia, volle consegnare a ciascuno un
atto di elogio e di saluto che così recitava nei suoi passi
principali:
"
Siete partiti
il 24 giugno 1914 da Bengasi ed il 27 giugno
avete raggiunto e messo in fuga il
primo
nucleo nemico a Bedafon. Sempre animati dal vostro
caratteristico spirito offensivo, il 29 giugno siete andati in
contro alle forze riunite del Senusso disperdendole nel modo più
completo ed inseguendole senza posa sino a distruggere il campo
principale.
Senza riposo avete
raggiunto Agedabia per riprendere l'offensiva e, sulle colline
di Lektafia, il 7luglio, avete disperso altro forte nucleo di
ribelli, inseguendoli senza posa [ ... ]
Ritornati a Agedabia e
poscia a Bedafon le vostre vittoriose armi hanno attaccato e
debellato il nemico ai lontani pozzi di Saunnu compiendo in 60
ore ben 150 chilometri di percorso in zona torrida deficiente di
acqua ed oggi siete di ritorno a Bengasi dopo avere percorsi
circa 700 chilometri in un mese, dando prove, in quattro
gloriose vittorie, del vostro valore e della vostra fede"
La conclusione del
documento Cantore la dedica infine ai suoi uomini
"Profondamente
commosso per il
contributo che tutti, senza distinzione, avete
offerto per la riuscita della non comune impresa, pieno di
ammirazione per la prova di valore che avete tutti data durante
i combattimenti, vi ringrazio con tutta l'effusione dell'animo.
Per un intero mese
siete stati sottoposti a grandi fatiche, a disagi non comuni,
sempre con la piena fede della vostra forza e della vostra
costanza.
Ed ora, nel momento
in
cui posate momentaneamente le armi, forti del
dovere compiuto, raccoglietevi intorno a me per elevare il
vostro pensiero alla memoria di quei cari e valorosi estinti i
quali sul campo dell'onore hanno dato il
contributo della vita per la gloria della nostra vittoriosa
bandiera"
Cantore rimase
in Cirenaica ove nel 1914, per meriti di guerra, divenne
Maggiore Generale continuando a contrastare il Gran
Senusso con azioni ardimentose sulle colline di Braksada, con
l’occupazione di Agedabia, con le battaglie di Merg e Tecniz
sempre capace di inventare tattiche capaci di ostacolare ogni
velleità ardimentosa del nemico.
Via via assunse il comando della brigata Pinerolo, poi del 3°
Alpini, e poi della Mantova. Appassionato e facente parte della
Società Geologica Italiana, le procurò preziosi e precisi
rilievi topografici e geologici delle montagne, riconosciuti
quali veri documenti scientifici.
All’avvicinarsi dello scoppio della guerra, venne richiamato in
patria, e gli fu affidato il comando della III Brigata Alpina.
Per comprendere il personaggio basti dire che il giorno stesso
della dichiarazione di guerra, il 24 maggio del 1915, dopo aver
svolto personalmente l'ispezione della zona di operazione
affidatagli, con le sue truppe si lanciò in modo fulmineo in val
Lagarina puntando verso Trento, e approfittando dell'ancora
precaria organizzazione delle difese nemiche le travolse. A
partire dal giorno dopo, con una velocità d'azione che gli era
propria, era già oltre il monte Baldo, il 26 occupò l’
Altissimo, il 27 partendo da Peri conquistò Ala, e il 29 mattino
arrivò sul monte Coni Zugna dove un caposaldo nemico
particolarmente munito di difese venne letteralmente
strappandolo alla forte resistenza austriaca. Dopo due giorni,
aveva già occupato la Biaièna, una montagna difficilissima e in
posizione dominante.
Proprio per queste sue capacità di saper leggere le situazioni e
la pronta risposta che sapeva dare, fu spostato dalla zona, che
per merito suo era ormai divenuta meno importante nell’ottica
complessiva della guerra, venne promosso, per meriti di guerra,
Generale di Divisione e gli fu affidato il comando nella zona di
Cortina d’Ampezzo, della gloriosa II divisione della IV armata
(‘val Boite-Cadore’), sostituendo il Gen. Savero Nasalli Rocca
al quale veniva imputato di essere troppo prudente e lento. Vi
arrivò preceduto dalla sua fama Appena arrivò, migliorò la linea
delle postazioni poiché, la guerra di alta montagna si era
modificata mutando le condizioni in "guerra di posizione".
La zona era chiamata dagli italiani "settore val Costeana"; il
giorno stesso dell’inizio ostilità, una pattuglia di alpini
entrò nel settore, trovandolo sgombro da austriaci che arretrati
fortificavano la linea dello spartiacque dell’alta valle
Travenanzes con il Castelletto, annidandosi nelle rocce della
Forcella Fontananegra (m.2580), a nord della Tofana di Rozes e
su due avamposti allo sperone TreDita e la Spalla della Tofana
di Dentro che vanificavano agli alpini poter occupare la bassa
val Travenanzes. Gli italiani occupavano le cime delle altre
Tofan (di Mezzo e di Dentro) e accerchiavano la forcella di
Fontananegra attraverso la quale speravano discendere in val
Travenanzes. Ma, alla fine, con gli austriaci a quota 1800 e gli
italiani a quota 1300, per un distanza di circa 500 m., ogni
assalto era un massacro.
Con gli immancabili sopralluoghi stava ideando un colpo di mano
sulle Tofane. Tale azione si rendeva necessaria per tagliare al
nemico i rifornimenti che provenivano da Dobbiaco: propose di
iniziare l’attacco dallo sbocco della val Travenanzes per poter
sopraffare le difese a nord della terza Tofana e così prendere
alle spalle le difese di Fontana Negra, del col di Boise e del
Falzarego. Dopo un esordio favorevole ai suoi uomini, le
truppe dell’Alpen Corps ben salde su punti dominanti dei monti,
lo obbligarono a ritirarsi e rivedere il suo piano d’azione;
così sempre con il suo solito e tenace disprezzo del pericolo,
il 20 lug.1915, uscito dall’hotel dove alloggiava in Cortina,
salì a Vervei sulle Tofane arrivato a Vervei, si recò con
quattro alpini a studiare le postazioni in un osservatorio
avanzato dove era la 9.a compagnia in località Forcella di
Fontana Negra e da dove era convinto potesse iniziare l’attacco.
Arrivato al ghiaione esclamò ai soldati: "domani sarete tutti
lassù”... sulle vette occupare dagli austriaci o in cielo".
Alle ore 19, dopo aver conversato con gli ufficiali, volendosi
rendere conto personalmente delle difficoltà che si frapponevano
andò alla forcella, zona chiamata dai soldati "contagocce della
morte" perché bastava sporgersi anche di poco per essere ucciso,
in quanto i cecchini austriaci non davano scampo. Convinto che
la pallottola che l’avrebbe ucciso non fosse ancora stata fusa
inforcò i binocoli per osservare il nemico, ma questa volta la
sorte non era dalla sua parte e colpito in fronte stramazzo al
suolo.
Una relazione rilasciata da un soldato presente assieme ad altri
12 soldati del 45° fanteria e quattro alpini del ‘Belluno’,
riferì che appena arrivato si era messo a colloquio con i due
ufficiali superiori (il magg. Ottina, della 3° batt. del 45°
fanteria; ed il cap. Comucci della 12° compagnia del 23°
fanteria) con i quali studiare come conquistare il rifugio
Tofane posto ad appena trecento metri di distanza. Dopo il
colloquio si portò a controllare la zona esponendosi al cecchino
e rimanendovi testardamente anche dopo che un primo colpo lo
aveva fallito per poco.
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