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Storia degli Alpini

 

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Il Generale Cantore

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 IL GENERALE CANTORE

 

L'uomo

Collerico, impulsivo, caparbio persino violento, ma in compenso generoso, ardimentoso, intelligente ed altruista: lui non mandava la truppa in avanti, ma la precedeva condividendo rischi e pericoli e con l’aureola dell’invincibile e immortale.

Era anche un ufficiale che nell'affibbiare le punizioni si dimostrava inflessibile, duro, severissimo, ma non fece fucilare mai alcun soldato. Certo, alzava la voce, rispondeva a tono, si lasciava prendere dall'ira, e se capitava, prendeva a bastonate il sottoposto di turno quando notava anche solo un impercettibile moto di insofferenza o non era soddisfatto di come venivano eseguiti i suoi ordini. Gli Alpini lo temevano per questo suo temperamento acceso, autoritario, brusco, e perché era molto esigente sul piano della disciplina, ma il loro timore verso il loro Comandante non si mutò mai in avversione, se mai in ammirazione.

Tutti i testimoni dell’epoca concordano nella descrizione fisica del Generale: uomo magro, nervoso, di discorso quasi sempre breve, duro e beffardo; dormiva pochissimo, aveva il ballo di S. Vito ed era continuamente nervoso.
Andava continuamente dove un Comandante non va: un po’ più in là, verso il nemico, dell’ultimo avamposto.
La sua testa era un mulinello d’idee: pane, vestiti, munizioni, letti, medicine, avanzate, sorprese al nemico,
attacchi. Sempre però per i suoi Soldati e per la guerra. Anche la famiglia, cui era affezionato, nei giorni della
battaglia o negli antecedenti, pareva bandita dal ricordo. Pulito, non soverchiamente accurato nel vestire, portava sempre un impermeabile nero, vecchio.

L’Uomo era decisamente irrequieto: il suo carattere e la sua convinzione sulla “giusta strategia” da applicare,
fecero si che il Generale andasse contro agli stessi ordini militari e teoremi strategici.

Il giornalista del "Corriere della Sera", Maso Bisi, suo biografo, ne tratteggiò un'immagine di un uomo tutto d'un pezzo, che prendeva in mano ogni situazione e la volgeva in men che non si dica a suo favore, così lo descriveva, nellal maniera più vivace ed entusiastica:

«Il vecchio lupo di montagna non ha posa. Non vi è battaglione e non v'è batteria che non se lo veda comparire in linea a studiare posizioni, a constatare "de visu" necessità e manchevolezze, a incitare, ad ammonire. Con Cantore non si dorme. No, certo, non è comodo dover sottostare a Cantore. Ma chi brontola è il primo ad assumere appassionatamente le sue difese contro chi tenta una critica».

Questa descrizione faceva corrispondere il Generale Cantore a quella di un alto Ufficiale piuttosto scomodo e scocciatore, che ficcava il naso addirittura nelle giberne degli Alpini, attento ai dettagli più trascurabili, lesto a far uscire dall'infermeria chi marcava visita per indolenza o codardia, ma nessuno poteva mai mettere in dubbio la sua autorevolezza, la sua perizia nel dare ordini, nel formulare strategie, nell'impiegare uomini e mezzi con criterio e avvedutezza, anche se era un militare audace e intrepido, pronto a sfidare la morte in battaglia. Lo stesso  Maso Bisi, durante il primo conflitto mondiale, redigendo un suo articolo, si può dire, coniò un'espressione, che è entrata ormai nel lessico degli Alpini, poi tramandata da lungo tempo dai veci ai bocia, e fa parte integrante dell'alone di leggenda che circonda il Get,erale Cantore: il Paradiso di Cantore.

Anche Mario Gaslini, scrittore del libro: "Col Generale Cantore a caccia del gran Senusso" essendone stato testimone in quanto allora giovane sottotenente, all'inizio del libro volle mettere per iscritto le sue impressioni sulla personalità del "generale d'assalto" di cui riportiamo alcuni stralci:

"Aveva una qualità rara: la prontezza. Gli ordini di un'azione venivano impartiti all'improvviso: arrivavano

come allarmi [ ... ]

Incuteva grande soggezione: non parlava mai: aveva nell'abito e nel gesto l'espressione del soldato semplice, sobrio e forte, pronto e mite: qualcosa che ricordava le montagne [ .. . ]

Né il nemico né l'ignoto lo preoccupavano: in certi momenti, alla testa di quel groviglio di gente e di carrette,

di quadrupedi e di artiglierie, ch'è una formazione di guerra in pianura, col frustino alzato, con quel bagliore

bianco del cavallo [ ... ] pareva un corsaro formidabile che scagliasse le ciurme all'arrembaggio. Però s'imparava subito ad amarlo [ ... ]

A volte in testa a tutti, a volte a fianco dei fanti, in altri momenti dietro alle carrette, a cavallo se le truppe cantavano, a piedi come il semplice soldato se le fanterie camminavano stanche e tristi, egli poteva ordinare, scagliarsi, sostare, impegnarsi nel corpo a corpo, senza che uno solo pensasse ad altro che a questo: "Se Cantore vuole così, significa che per vincere così si deve fare".

Riguardo all'ascendente del generale sugli indigeni, Gaslini riporta: «Ora, a tanti anni di distanza, io tento

di pensare alla ragione per la quale egli avesse tanto prestigio, specialmente su quelli che, come me, non l'avevano visto mai ed al suo nome tremavano. Anche gli arabi

non l'avevano mai avvicinato ma correvano ad arruolarsi tra le sue cavallerie e, quando passavano, elevavano un possente coro di guerra, di esultanza, di benedizione [ ... ].

Cantore, col suo cavallo bianco che altri avrebbe ripudiato pel maggior bersaglio offerto ai tiri nemici, [ .. . ] fu  sempre avanti a tutti, col frustino alzato, esempio di ardimento, volontà e foga di assalto, alla testa delle truppe che lo temevano e lo adoravano». Il cavallo bianco di Cantore ricordava agli arabi Borak, il mitico destriero del profeta Maometto.

Non certo minore il prestigio esercitato sui connazionali:

"Gli ufficiali, i quali sono i primi a conoscere i difetti e le qualità dei loro superiori, parlano di questo orsacchiotto ligure [ ... ] come d'un prodigio".

I numerosissimi ricordi dei particolari sulla sua vita si sovrappongono quando vanno a descrivere il generoso entusiasmo patriottico, il senso di abnegazione, la rude schiettezza, all’istintiva capacità di capire le necessità dei più umili e semplici soldati, che lo chiamavano “Toni” per dire che era uno di loro, alla fermezza nell’indicare lo scopo e le motivazioni  del sacrificio.  Per i fedelissimi invece, era  “il colonnel” oppure “il vecio Toni”: quello della Cirenaica, è tutto un sottolineare le capacità tecniche, l’intuizioni vincenti , decisioni pronte di scelta in una vasta sfera di possibilità d’azione-sintomatica di una visione superiore e completa dei problemi  da affrontare.

Insomma un carattere duro ma autorevole e non autoritario di poche parole ma di fatti. Caratteristica mutuata dai liguri ma forse accentuata dalla sua balbuzie.

Certamente nei suoi uomini poteva generare reazioni di avverso tipo: venerazione e in alcuni casi odio. Fu però questo suo essere davanti alle sue truppe, vicino ai soldati sino al sacrificio supremo che spostò l'ago della bilancia in suo favore.

La storia insegna che elemento fondamentale di ogni uomo è quello di cercare sempre di imporsi una mèta per avere uno ‘scopo, possibilmente più nobile del vil denaro e della semplice sopravvivenza: la ‘famiglia’ per la religione, l’’onore’ per i cavalieri, il ‘Ché’ per alcuni giovani d’oggi, il ‘dovere’ per i tempi di Cantore: ai suoi tempi, l’amor di patria, il nemico invasore, l’unità d’Italia da completare, ma soprattutto il ‘senso del dovere’, erano gli stimoli che spingevano un fante all’attacco sul Carso, quando già in partenza sapeva che aveva pochissime possibilità di sopravvivenza; non era certo l’enocordial sufficiente a creargli quella ‘temerarietà’, se alla base non aveva questi supporti morali. Toccava quindi al superiore in grado non solo comandare ma soprattutto dimostrare che quei valori esistevano. Cantore fu l’emblema di questo modo di comandare: non si limitava a dire (quello che poi irrisoriamente fu stigmatizzato nella famosa frase ‘armiamoci e partite’), ma lo faceva, anche se diverso, ma uguale e se possibile di più a quello che doveva fare il fante: per questo è divenuto un mito.

 

 

   
     

 

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Ultimo aggiornamento 28 gennaio 2015