Naja

Ernesto ha, con il suo racconto, molto ben rappresentato lo spirito che, credo, pur nelle differenze che caratterizzano ogni essere umano dall’altro, ha impregnato i 15 mesi di naja del nostro gruppo: semplicemente, io e lui, più “grandi” degli altri (come studenti ci trovavamo a vivere l’esperienza del servizio militare in età più matura, 24-25 anni), abbiamo vissuto quel periodo con qualche strumento di valutazione, con qualche chiave di lettura della vita, in più ….

Io vorrei, qui, testimoniare, senza scendere in troppi particolari, come quei quindici mesi abbiano costituito una vera svolta, radicale, nella mia vita che, allora, era finita in un vicolo cieco.

Iniziai il servizio militare in un momento della mia esistenza in cui mi ero scoperto privo di una vera identità, vivendone tutto il disagio, senza prospettive e senza alcun serio progetto di vita.

Quei quindici mesi di “sospensione”, di esilio da una quotidianità soffocante e, nel mio sentire, banale e sterile, le persone che mi sono trovato intorno, quei superiori (cap. Anderi, m.m. Liaci, s.ten. Biletta, e ….) che sapevano così bene, giorno dopo giorno, tirare fuori il meglio di noi, quella responsabilità (e, devo dirlo, la passione) fortemente da noi sentita di, a nostra volta, “costruire” alpini “veraci”e soldati preparati e ben addestrati, mi hanno letteralmente …. “ricostruito”: mi sono congedato sicuro di quello che volevo fare della mia vita, ma, soprattutto, con una chiara e serena consapevolezza  delle mie forze, delle mie possibilità, e dei modi per consentire loro di produrre il massimo risultato.

Concluderò dicendo  che gran parte di ciò che di buono posso trovare, oggi, nella mia vita, a quarant’anni di distanza,  posso ascriverlo senz’altro all’esperienza di naja.

Esperienza che  desidero, qui, raffigurare con un aneddoto in grado, mi sembra, di rappresentare uno spirito “pedagogico” che per me, per noi, forse posso dire, è stato ben presente ed operante.

Si tratta, manco a dirlo, di un episodio del tanto, in tempi successivi, vituperato “nonnismo”.

26 luglio 1967, ultimi giorni di naja (fui congedato il successivo 3 agosto): rientro la sera tardi (si sa, congedanti …) in camerata con il mio “giovane”, il caporale istruttore Gianni “John” Vio.

E’ un giovane del mio paese, compagno di gioventù di mio fratello minore. Un uomo, per sua natura, di una serenità, e di una calma “olimpiche”.

Ci avviciniamo, nell’oscurità, alla mia branda e, …orrore!!!!, ci troviamo di fronte ad un “cubo” perfettamente integro: chi di “dovere”, non aveva provveduto a preparare la branda della “vecchia” che, come ogni alpino sa, è, per definizione, “stanca”.

Al mio “John, come mai?!” di ironica riprovazione, lui ricorda immediatamente la recluta che era addetta, quella sera, alla bisogna. Si avvicina con passo felpato alla sua branda, e, scuotendola delicatamente, la sveglia instaurando, più o meno, questo dialogo:

“Senti, scusami per averti svegliato: ti sei dimenticato di preparare la branda della vecchia…!”

La recluta, studente universitario di giurisprudenza, e, quindi, ben consapevole della dignità e dei diritti borghesi di cui è portatore, con voce impastata dal sonno (sempre pesante, nonostante le sistemazioni  tutt’altro che comode): ” Io la branda alla vecchia non l’ho fatta e non la faccio: non ho nessuna intenzione di sottostare a questo sopruso!!!”

“Va bene - dice John – ora hai affermato il tuo punto di vista. La vecchia, come sai,  è stanca, e non può certo farsi la branda. Quindi, ora, anche se in ritardo, alzati e provvedi, da buon “giovane”… Faremo finta che non sia successo niente “ .

“NO !!!! Io la branda non la faccio e basta !!!”

“Davvero non la vuoi fare?”  “ NOOO !!!!”

John : “Bene, allora STAI PUNITO! ” .

“Come, sto punito?!… Ma se non ho fatto niente !”

John, con calma serafica :” Altroché.. DOMANI MATTINA, ALL’ADUNATA, TI MUOVEVI SUGLI ATTENTI !!”

La recluta, attonita, dopo qualche secondo per valutare l’ineluttabilità di certe condizioni umane (di sempre) e delle leggi della naja (di allora), si alzò e, rassegnata, mi fece la branda….

Il giorno dopo, feci un regalo a quel giovane, di cui, purtroppo per me, non ricordo il nome.

Mi piace, però, pensare che quell’episodio abbia potuto lasciargli un segno non in negativo (il sopruso), ma in positivo (l’eleganza, l’ironia e il tatto di John), per quanto piccolo, sulla ineluttabilità di compiere un dovere o di portare a compimento un compito, anche se sgradito, nella vita, in generale, e in quella militare, in particolare.

Grazie, amici, per avermi fatto vivere momenti, tanti, come questo.

 

Gianni.