Vita da pennone

 

Può sembrare strano alla maggioranza della gente che un palo di legno possa essere, per alcuni, così importante.

Certo, capisco che vi sono mille altre cose che hanno più valore, ma se questo palo ha scandito i migliori momenti della tua giovinezza, può diventare importante.

 

Questo palo, di cui parlo, è salito di rango quando è stato scelto per svolgere un ruolo di prestigio: il pennone della bandiera nella ex caserma Trevisan.

Certamente non è lo stesso che fu messo lì nel 1882, anche lui venendo vecchio veniva sostituito da un suo ”collega”.  Più volte questo successe nel tempo, ogni qual volta era ora che lasciasse il suo servizio per raggiunta età della pensione.

Era un lavoro importante quello che svolgeva. Ricordava a tutti quanti che erano figli di una stessa nazione e che erano in quel posto per servirla nel migliore dei modi. Faceva del suo meglio per sorreggerne senza tentennamenti e senza titubanze quel simbolo: la nostra bella bandiera.

Non era credetemi un brutto lavoro. Alla mattina, per esempio, una moltitudine di ragazzi erano li, innanzi a lui, fermi sull’attenti, ed egli, più fiero che mai, faceva scorrere pian piano quella bandiera al suono della tromba. Come si sentiva orgoglioso in quei momenti! Sembrava al centro del mondo.

Come tutti i lavori importanti lasciava sensazioni in chi lo svolgeva. Una sensazione di fierezza quando quei giovani urlavano “Lo giuro” solennemente innanzi a lui. In quei momenti faceva il possibile, pur se non c’era un filo di vento, per far muovere quella bella bandiera, anche se purtroppo, non sempre vi riusciva. Vi erano poi emozioni particolari quando, nel mezzo del suo momento di riposo, alla sera, quella tromba suonava diversamente dal solito il “Silenzio”. Stava attento e sentiva nelle camerate ragazzi che ridevano e anche ragazzi che piangevano. Non poteva fare a meno di emozionarsi. Certo l’emozione più forte l’ha avuta in certi periodi, quelli più duri scanditi dalle guerre. Vedeva partire ragazzi che non sarebbero più tornati. Quante volte al rientro da una campagna di guerra contava chi rientrava, non riuscendo ad aspettare fino al mattino seguente, per sapere se sarebbero stati tutti presenti all’adunata. Quasi sempre ne mancavano. Alla mattina una leggera brina trasudava e inumidiva le corde della bandiera e gli alpini si chiedevano: - Strano, non era umido questa notte -.

Questi tempi fortunatamente finirono e negli anni più spensierati e felici che mai l’Italia conobbe, ancora migliaia di ragazzi passarono ai suoi piedi. Li sentiva marciare, ridere, cantare e, a volte vedeva luccicare quelle lacrime che cadevano su quei fogli che in disparte qualcuno leggeva. Li vedeva arrivare spaventati come pulcini bagnati e li vedeva andare, verso i reggimenti assegnati, già un po’ cresciuti e fieri della loro penna sul cappello. Non ci crederete, ma li conosceva tutti per nome. Se avesse saputo parlare ve li avrebbe scanditi tutti, uno per uno, anche quelli che ormai non ci sono più.

Poi, una mattina, si svegliò solo. In quel cortile il silenzio assoluto. Si domandava come mai: - Saranno in ritardo? Certo che sono dei dormiglioni… -. Fu nel pomeriggio che capì che nessuno lo avrebbe più salutato.

Passo molto tempo e di lui si scordarono tutti. Nonostante la sua vecchiaia nessuno era venuto a dargli il cambio e, come ogni vecchio dimenticato, restava li, assopito aspettando di cadere sotto il suo stesso peso.

 

Un giorno di alcuni anni fa, decidemmo con vecchi amici di naja, di andare a sbirciare da quei cancelli. Tutto era abbandonato e distrutto. Quel cortile invaso dalle erbacce e, quel silenzio, è stata una delle cose più tristi che io ricordi. Poi vidi lui, il pennone. Era la in fondo al cortile, unico custode di quel posto, unica cosa che ricordava cosa fu quella costruzione così malandata. Era  vecchio e stanco e, forse, non mi riconosceva neanche più, ma era ancora li, e sembrava dire: - Presente! -

In quel momento capii che si poteva voler bene anche ad un vecchio palo di legno.

 

Non abbandoniamolo. Facciamo in modo che possa ancora svolgere la sua funzione, che possa ancora sentirsi e far sentire noi stessi fieri quando quella nostra bandiera sventola lassù.

Questo credo sia il giusto modo di ringraziarlo per aver accompagnato quei centomila ragazzi sulla strada della vita.

                                                                                         Ferrobraio Bruno

                                                                           Ex istruttore Caserma Trevisan 2/66