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Spirito alpino....
Rinuncia alla vita per regalarla a un
altro
Walter
(nella foto il primo a sinistra) aveva sessantotto anni,
faceva il pastore in Val Divedro, in terra di confine
con la Svizzera. Un mestiere appreso dal nonno.
Vita semplice e dura, sentimenti di cristallo, purezza
montagnina. Alpino. Un uomo di sobrietà antica, mai
nulla da chiedere, sempre molto da dare. Abitudinario,
contemplativo, disponibile. A chi capitava d'incontrarlo
sugli alpeggi, e di chiedergli incuriosite notizie sul
suo insolito travaglio, rispondeva esaustivo, con la
paziente lentezza della cultura contadina. Parole sagge,
spicce, utili. Walter viveva da solo, ma senza patire la
solitudine. Amici, benevolenza, riconoscimenti. Lo aveva
scortato per decine d'anni la salute, poi fattasi
d'improvviso riottosa a rimanergli accanto e infine
risoltasi ad abbandonarlo. Ne aveva preso il posto la
malattia. Una malattia seria, invalidante. Walter era
costretto a scendere una volta la settimana dai pascoli
alla città per sottoporsi a sedute di dialisi
nell'ospedale di Domodossola. Un sacrificio triste, un
calvario penoso, una croce di piombo da portare. Ma la
luce sa cogliere il momento e il modo di rompere
l'oscurità. Lo colse anche in questo caso. A Walter fu
prospettata la possibilità d'effettuare il trapianto del
rene malato. C'era una lista d'attesa, ci si poteva
iscrivere, sarebbe venuta l'ora della chiamata
salvifica. E difatti quell'ora è venuta, dolce e
drammatica insieme, qualche tempo fa. Non molto tempo
fa. È venuta e se n'è andata subito via, per decisione
di Walter. “Non ho moglie né figli – ha spiegato ai
medici che gli annunziavano il prossimo innesto
dell'organo sano – ed è meglio che il rene sia donato a
chi ne ha più bisogno di me”. Il cuore generoso di
Walter ha ceduto proprio durante la terapia. I sodali
della sofferenza erano al corrente del suo proposito:
della rinunzia ad avere per dare. Ne era informato anche
il parroco del paese, che ha raccontato la storia solo
il giorno del funerale, carezzando la bara poi condotta
a spalle dagli alpini nel cimitero di Varzo. I presenti
avvertivano dentro di sé un'imbarazzante piccolezza di
fronte a un così grande atto d'altruismo.
La storia di Walter è per davvero una storia, e non una
delle mediocri cronache della quotidianità. Le storie,
queste storie, esistono ancora. In una valle ossolana,
in qualsiasi valle dove spuntino le lacrime (e non ce ne
sono dove non spuntino). Ci restituiscono, queste
storie, la gerarchia vera delle priorità della vita,
costringono i praticanti dell'egoismo a inginocchiarsi
davanti alla carità, riconducono la speranza al centro
delle coscienze. Walter è morto in nome d'un valore che
non figura in nessuna agenda politica, ma che continua a
essere inciso - e ben individuabile da chi lo voglia
vedere - nell'agenda dell'anima. Pensiamo a volte (molte
volte) d'essere prigionieri degli indifferenti e schiavi
della rassegnazione, ma è un pensare presuntuosamente
sbagliato: la libertà dagli uni e dall'altra non
appartiene a un sogno inafferrabile, ce la insegna una
realtà sorprendente solo all'occhio non abituato a
leggerla come si deve.
Max Lodi
“La Provincia di Como” |